Il turno di notte

E’ una commedia agrodolce che narra di un gruppo di lavoratori che restano bloccati nel loro spogliatoio a causa di una scossa di terremoto che blocca le porte di uscita.

E' il momento di cambiarsi per iniziare il turno di notte, ma, qualche attimo prima di iniziare il lavoro, l'evento sismico, obbliga questi personaggi ad un confronto sulle loro vite ma anche alla risoluzione di un problema con un dirigente francese che non crede che le loro porte siano realmente bloccate.

Questa diffidenza scatena l'ira del delegato Nino che ha dedicato la sua vita alla fabbrica e quando il delegato francese scopre che le porte sono realmente bloccate, in una colluttazione proprio con il sindacalista, batte la testa e resta privo di sensi.

Rocco, che voleva fare l'attore, Lena che è una ragazza che ha avuto più di una storia con dirigenti, Lucia che pare abbia perso in tanti anni di fabbrica la sua femminilità, Teo che sembra essere preso solo dalle scommesse di calcio e Leonardo che sa tutto di ogni cosa e il suo pessimismo lo distrugge, aggiungono ai loro conflitti personali e di relazione, il problema del corpo di questo francese.

Il riferimento ai lavoratori di un importante stabilimento industriale metalmeccanico di Melfi è abbastanza facile e i problemi che legano le loro vite e le loro storie si collocano all'interno di micro-mondi riconoscibili, fatti di risvolti molto divertenti e momenti poetici.

 

Dissonorata

Dissonorata debutta nel 2006 riscuotendo in poco tempo numerosi riconoscimenti e girando in Italia e all’estero. Oggi, Saverio La Ruina - autore, attore e regista - porta ancora in scena questo spettacolo che parla di un tema tutt’ora molto presente nelle cronache, nelle case, nella vita di molte persone, ovvero quello della condizione femminile spesso sottoposta alla 'legge degli uomini', delle violenze subìte, del rapporto di schiavitù che molte donne si trovano a vivere nei confronti della figura maschile.
“Spesso, ascoltando le storie drammatiche di donne dei paesi musulmani, mi capita di sentire l’eco di altre storie.” - dice La Ruina - “Storie di donne calabresi del secolo scorso, ma anche di oggi. Quando il lutto per le vedove durava tutta la vita. Per le figlie, anni e anni. Le donne vestivano quasi tutte di nero, compreso una specie di chador sulla testa, anche in piena estate”.
Nello spettacolo La Ruina indossa i panni di Pasqualina, una donna che vive in un piccolo villaggio della Calabria, la terra d’origine dell’autore, dove risuonano e riverberano le esperienze delle nonne, delle zie, delle mogli, delle amiche e delle vicine che hanno avuto a che fare con situazioni tragiche, grottesche, surreali, talvolta anche comiche ma cariche di un’amara ironia. Ed ecco che evocativamente un piccolo villaggio calabro assume elementi universali, dove si ritrovano storie di altri luoghi e di altri tempi, appunto: l’eco di altre storie.

La signora della tv

Vincenzo De Lucia presenta lo spettacolo “La signora della TV” una produzione inedita Tradizione e Turismo, con le musiche Claudio Romano i costumi di Dora Maione e le coreografie di Johannes Palmieri. Un inno alla leggerezza e alla musica, con la costante attenzione ad un riferimento principe come quello del Varietà per eccellenza. Sono questi i punti saldi dell’inedito testo divenuto spettacolo, dell’attore – cantante e imitatore Vincenzo De Lucia, molto apprezzato per le sue uniche capacità di female impersonator. L’artista partenopeo vestirà i panni di moltissime signore dello spettacolo: luminose stelle provenienti dal piccolo al grande schermo, fino alla storia della musica.

Dopo il successo in Tv in programmi come “Made in Sud” e “Stasera tutto è possibile”, fino alle fortunate incursioni a “Domenica In”, De Lucia raccoglie le sue donne in una galleria teatrale di risate in cui è accompagnato da un orchestra di otto elementi, quattro ballerini e costumi sfavillanti firmati da Dora Maione, per traghettare il pubblico in una serata nel segno di un’unica ed altissima missione: intrattenere divertendo


 

Storia di una capinera

Storia di una capinera è la passionale narrazione della novizia Maria che il riadattamento di Micaela Miano, per la messinscena di Guglielmo Ferro, ne ricodifica la struttura drammaturgica del romanzo per fare emergere il rigido impianto culturale e umano delle famiglie dell’epoca.

Perché se Maria è vittima, non lo è dell’amore peccaminoso per Nino che fa vacillare la sua vocazione, ma lo è del vero peccatore ‘verghiano’ che è il padre Giuseppe Vizzini.

Giuseppe che, rimasto vedovo, manda in convento a soli sette anni la primogenita, condannandola all’infelicità. Un uomo che per amore, paura e rispetto delle convenzioni causa a Maria la morte del corpo e dello spirito.

È sul drammatico rapporto padre figlia, sui loro dubbi e tormenti che si mette in scena la storia della Capinera.

La stanza del convento è il centro della scena, Maria non esce da quella prigione, e il padre Giuseppe ne è il carceriere. Entrambi dolorosamente vittime e carnefici.

Separati...ma non troppo

La commedia racconta infatti della difficoltà di Giulio, cinquantenne, che abbandona il tetto coniugale alla soglia delle nozze d'argento. Giulio si separa ed è costretto a chiedere ospitalità a Nicola, separato da tempo, che occupa un appartamento di proprietà della vicina Carmela, con probabili disturbi psicologici.

L'uomo che amava le donne

Uno straordinario Corrado Tedeschi farà rivivere con passione e ironia alcuni passaggi del capolavoro di Truffaut, "L'homme qui aimait les femmes" in cui il protagonista Bertrande Morane, un ingegnere esperto di meccanica, dedica la sua vita all'amore infinito che prova verso le donne, un modo per riscattare l'affetto che sua madre non era mai stata capace di offrigli.

Tedeschi in scena, come Bertrande nel film di Truffaut, scopre che la donna ama in un modo molto più universale rispetto all'uomo e che, di conseguenza, non è difficile innamorarsi di una donna, è difficile amarla. Entrambi, dunque, non appartengono alla categoria dei Don Giovanni né a quella dei Casanova, non respirano il piacere della conquista fine a se stessa o la seduzione finalizzata al solo raggiungimento del piacere carnale, in loro si respira il desiderio di amare l'amore in ogni sua forma, con la leggerezza e l'ingenuità di un bambino.

 

UNA COMPAGNIA DI PAZZI


1945 fine seconda guerra mondiale, due infermieri gestiscono un manicomio con soli 3 pazzi, alle pendici di un paesino ai confini con la Campania e la Basilicata. La guerra si svolge nelle vicinanze, ma in questo manicomio, nulla succede, queste cinque persone vivono la loro vita, come se intorno non fosse successo nulla, gli infermieri non si comportano da infermieri, ma con il loro pazienti c’è una confidenza come se convivessero tutti sotto lo stesso tetto. È un manicomio quasi dismesso, dove sono rimasti soltanto Umberto taciturno e sempre incazzato, un cantante rinchiuso dal regime fascista perché troppo vicino ad ambienti comunisti, Federico un uomo di 60 anni non parla quasi mai, dice soltanto poche parole e quasi incomprensibili, rinchiuso in manicomio perché omicida di un gerarca fascista, e Benni un ragazzo che vive da anni in ospedali e manicomi psichiatrici, abbandonato sin dalla nascita, logorroico e fissato con la pulizia. Insomma c’è armonia, anche se quest’armonia viene interrotta, una settimana al mese, dal direttore del manicomio, un uomo molto severo, cinico che sfiora momenti di “malvagità”. Ovviamente gli infermieri cercano spesso di fare da “muro” a questi atteggiamenti ostili, ma senza nessun tipo di risultato. Un giorno viene scoperto, da uno dei “pazzi”, una cassaforte nell’ufficio del direttore, da qui i nostri protagonisti, pensando che ci sia del denaro o pietre preziose, escogiteranno un piano per aprire la cassaforte, scappare con il bottino e conquistare una libertà meritata.Uno spettacolo che tratta un tema forte con la solita ironia che caratterizza oramai da anni gli spettacoli di Antonio Grosso. La compagnia sarà la stessa che ha portato per anni in giro, nei migliori teatri italiani, lo spettacolo diventato un cult, “Minchia Signor tenente”


Io se fossi Dio

Un delicatissimo viaggio tra musica, testi e immagini in occasione dei venti anni dalla sua scomparsa. Giovanni Block e i suoi musicisti e le letture dell'attore Erminio Truncellito portano in scena i brani più rappresentativi scritti da Gaber.

Io super terrone

Pino Campagna continua la sua intensa attività di divulgatore di meridionalità, questa volta con una sfida che richiede dei super poteri. Si tratta infatti di allontanare discriminazioni, disuguaglianze e incomprensioni facendo leva esclusivamente sulle uniche armi in possesso di Campagna, ovvero la comicità e l’umorismo.

Il risultato è un viaggio immaginario che accompagna il pubblico per mille e più chilometri lungo tutta la Penisola, mettendo in scena le usanze regionali, le tradizioni popolari, la metamorfosi dei linguaggi comuni e il modo unico di essere italiani.


Miseria bella

Semplice e divertente è la trama della farsa del grande Peppino De Filippo: due fratelli artisti, squattrinati tanto da patire la fame, dormono nello stesso letto, in una casa dove vi piove dentro e della quale non riescono neanche a pagarne l’affitto al proprietario. In questo pretesto drammaturgico entra in gioco la tradizione del teatro Napoletano, quello di fine Ottocento inizio Novecento. Un teatro che spesso si rifà alla commedia dell’arte, con lazzi, gag e giochi comici tirati fino all’inverosimile. Il testo dà spazio a quello che viene detto, teatro d’esecuzione, nel senso che occorre grande capacità attoriale, tempi comici, grande senso del ritmo, affiatamento in scena. L’obiettivo è la risata, ridere di tutto, anche della fame. Una risata che esorcizza tutto, persino la morte.

STUPOR

 Federico II, reale e immaginario Si tratta di un nuovo allestimento teatrale che coniuga vari linguaggi artistici, dalla danza al teatro e alla multimedialità, attorno alla figura di Federico II e il suo rapporto con la legge, la religione, i suoi affetti privati. Un impianto scenico molto particolare in cui la danza contemporanea si intreccia con proiezioni e recitazione teatrale in un viaggio molto intenso e originale: Costanza, Federico e il suo amore per i falchi, Federico e Bianca Lancia, Federico II e Pier Delle Vigne, Federico e San Francesco, momenti intrecciati dal filo intenso della storia e del destino comune rappresentati magistralmente dalla danza e dalle proiezioni. STUPOR, il titolo dello spettacolo che prova a mettere a fuoco, soprattutto, lo stupore che provoca l’attualità dei suoi temi e la profonda attitudine del nostro imperatore, sempre alla ricerca di risposte mai banali ai grandi temi della ricerca sociale e spirituale.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA

Uno, nessuno e centomila è la summa della sterminata indagine di Luigi Pirandello sull’Essere e sull’Apparire, sulla Società e l’Individuo. Lo scrittore agrigentino raggiunge il culmine della sua riflessione sulla frantumazione dell’identità, sulla follia e sul rischio di annullamento di sé cui può andare incontro l’essere umano nel suo rapporto con le grandi sovrastrutture sociali, economiche e culturali come lo Stato, la Famiglia, il Matrimonio, la Religione.

Pippo Pattavina dona al protagonista Vitangelo Moscarda, detto Gegè, una complessa presenza scenica, dandogli una connotazione sulfurea, ambigua, provocatoria e persino spiazzante.


Mia moglie Penelope

Ulisse torna ad Itaca dopo vent’anni di guerra a Troia e avventure per mare. Trova la sua reggia invasa dai Proci e decide di non farsi riconoscere per compiere la sua vendetta. Solo Telemaco suo figlio e la sua nutrice ne saranno
al corrente. E la sua amata moglie Penelope? Davvero Ulisse pensa che un mucchio di stracci ed un trucco puerile possano ingannare il cuore e gli occhi di una donna? Lei sa, ma finge di non sapere, lui non sa e si comporta convinto che solo lui possa sapere. Nella versione del grande Malerba, Penelope non è poi così mite e ingenua da perdonarlo per averle mentito, per averle nascosto di essere suo marito. Mentre Ulisse trucida i Proci, Penelope cuoce a puntino Ulisse, si vendicherà ben bene di lui. Fino al sorprendente epilogo. Un testo divertente, una partita a due fra un uomo ed una donna che sovvertono gli stereotipi del mito e confermano che anche le coppie più celebri non si sottraggono alle ripicche ed alle rivendicazioni di una moglie rispetto a suo marito. E viceversa. Un ribaltamento di prospettiva ed una narrazione meno eroica e più umana rispetto all’epica vicenda dell’uomo più intelligente e astuto della mitologia e della donna assurta a simbolo di paziente attesa e di fedeltà incondizionata.
“Mentre tutti gli altri eroi di Troia sono tornati ai loro affetti, tu Ulisse hai viaggiato smarrendo stranamente una strada che conoscevi benissimo. Se gli Achei hanno impiegato dieci anni per conquistare Troia, non sarà meno arduo per il loro eroe più scaltro riconquistare sua moglie”
“Ho lasciato ad Itaca una moglie giovane, mite ed ingenua, ritrovo una donna forte, furba e poco incline al perdono. Dov’è finita la tua proverbiale capacità di conquista, misero Ulisse?”
Uno spettacolo in forma di reading, divertente e coinvolgente.

 

stagione teatrale 2022/2023



 
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